Cosa non sappiamo dei “ragazzi di oggi”- appunti per un dibattito adulti-studenti all’Isis Newton Varese. Prof Pierpaolo Sacco |
Cosa non sappiamo dei “ragazzi di oggi”: appunti per un dibattito adulti-studenti all’Isis Newton Varese.
In un breve articolo di un giornalino scolastico si può dire spesso molto poco. Perciò ho deciso di raccogliere, in maniera sincera e francamente poco scientifica una serie di “sensazioni”, una serie di appunti, di spunti di riflessione che hanno come unico pregio quelli di essere prodotti da un insegnante ventiquattrenne che, per il punto di vista privilegiato, può dire ‘noi’ sia a proposito dei ragazzi che degli insegnanti.
E allora, veniamo al dunque. La domanda che mi sono posto sin dalle prime ore in cui ho iniziato la mia esperienza lavorativa e che ha condotto la mia ricerca nelle mie classi e durante le numerose ore di supplenza è stata: come sono i cosiddetti “ragazzi di oggi”? E quindi, in fondo (ma non per egocentrismo, più per curiosità), come sono io? O anche, e più semplicemente, cosa sappiamo (o non) noi docenti dei nostri studenti?
I luoghi comuni, come sempre nei periodi storici di crisi e ancor di più in quelli decadenti come questo, trionfano. Si sostiene ingenerosamente che i ragazzi non siano interessati a nulla, che siano legati morbosamente allo smartphone, che non abbiano valori, che siano narcisisti e particolarmente ossessionati dall’aspetto fisico, ecc. Non mi interessa in questa sede contraddire questi e altri stereotipi. Quello che mi preme è fornire una serie di “dati” utili all’apertura di un dibattito tra studenti e docenti e in generale tra ragazzi e adulti nella nostra scuola. Come “fonti”, mi sono avvalso di dialoghi, riflessioni a partire dalla lettura di testi poetici o di canzoni che comunemente i nostri ragazzi ascoltano e di elaborati frutto di scritture creative.
Un primo dato che è emerso è il bisogno di relazioni significative. In diversi scritti dei nostri studenti si possono leggere esplicite richieste di attenzioni se non anche di “sentirsi amati”. L’età dell’adolescenza favorisce, d’altra parte, una serie di atteggiamenti “negativi” e risultano più visibili la contestazione, la disapprovazione, la messa in discussione delle istituzioni tra cui quella scolastica. Eppure, al di là di esplicite dichiarazioni di menefreghismo o affermazioni auto-sabotanti del tipo “eh ma in italiano non so scrivere bene” o “non mi viene in mente niente”, i nostri studenti avvertono come indispensabile l’approvazione dei docenti da cui in un modo o in un altro attendono legittimazione per le loro piccole imprese. ‘Legittimazione’ che non equivale solo a ‘votazione’, né a ‘rinforzo positivo’ di qualsiasi genere: significa anche, in generale, ‘essere considerati’. Gli studenti, sia per la conflittualità tipica dell’età, sia perché scagliati senza griglie interpretative consolidate in una società in continua evoluzione, hanno bisogno di relazioni anche dal punto di vista motivazionale. Spesso, infatti, mi capita di chiedere, in ossequio alla massima «ask the boy» del pedagogo R. Baden Powell, cosa i ragazzi desiderino per loro e per quale motivo dovrebbero studiare le mie materie (Lingua e letteratura italiana e Storia). La reazione più frequente alle mie provocazioni è quella di rispondere con la domanda “ma a cosa serve l’italiano/la storia?”. La polemica, che talvolta pone come eccezione le materie “d’indirizzo”, è la dimostrazione del fatto che la grande maggioranza dei ragazzi non accetta passivamente quello che viene proposto e d’altra parte non riesce a trovare da sé una motivazione valida ad alcuni fatti, episodi, problemi con cui si imbatte nella vita quotidiana. Il silenzio, lo svilimento della materia poco comprensibile fino ad annullarne ogni istanza di validità, il rifiuto frequente a produrre elaborati di scrittura creativa, sono il tacito grido estremo di un’individualità che pretende considerazione e continua ri-motivazione. Certo, in una classe non è sempre facile dare le giuste attenzioni a ognuno e quel che è peggio è che a volte noi insegnanti non siamo in grado di comprendere, di capire il loro modo di comunicare le loro emozioni che per certi versi è diverso dal nostro.
Riassumendo: gli studenti hanno bisogno di affetto e amore anche dagli adulti, inclusi gli insegnanti; hanno bisogno di riconoscimento della propria individualità e di essere maggiormente motivati (richieste che ritornano in più occasioni negli elaborati); hanno bisogno di essere capiti, compresi. A proposito di quest’ultimo tema, è il caso di aggiungere che il cambiamento dei modi di comunicazione è dovuto anche in parte a un cambiamento dei modelli culturali di riferimento. Mi rendo conto che il mondo dei nostri studenti (ma anche il nostro seppur in misura diversa e in modi più “classici”) è in fondo molto irrazionale: basti pensare alla comicità cui si ispirano, fatta di “caricature” di esseri deformi e non di “tipi sociali” (si pensi ad esempio, secondo quanto riferitomi, a I soliti idioti o a video meno strutturati definiti da loro “video trash”); o, cosa ancora più pervasiva, alla musica che ascoltano; o ancora ai videogiochi in voga.
Per quanto riguarda la comicità, da un breve esame condotto insieme agli stessi studenti che comunque dimostrano una certa consapevolezza di quella che è – secondo gli stereotipi – la loro “superficialità”, si può individuare un certo gusto per leitmotiv ripetitivi e insensati. Mi permetto di dire che siano privi di senso per il fatto che, come «comunità interpretante» (R. Luperini e altri) non siamo riusciti a dargli un significato univoco. E del resto, quello che percepiscono i ragazzi come ‘comico’ è quello che altri (me incluso) preferirebbero etichettare come ‘assurdo’. Ad esempio, in una classe è stata avvertita come particolarmente comica la frase «ho picchiato il dottore col casco». La canzone che riporta la proposizione è per altro parecchio apprezzata dal momento che in più classi, alla mia richiesta di un testo di una canzone a loro scelta per produrre un’analisi testuale, è stata suggerita come campione per le nostre indagini. E veniamo, così, al secondo punto relativo alla musica che ascoltano i nostri studenti. Come prevedibile il genere trap risulta essere quello più popolare, seguito dal rap e dal pop. Ma quello che emerge quando si tenta di fare un’analisi testuale è che questi testi – e di riflesso, con le dovute cautele, i nostri studenti – al di là di tematiche tipicamente giovanili (da sempre! Si pensi a Bob Dylan, ora osannato e anche vincitore di uno dei più discussi premi Nobel alla letteratura) quali la droga, il rifiuto delle istituzioni, il sesso, mettono in luce la drammatica – secondo la mia visione – assenza di un desiderio di universale. Il fatto viene evidenziato spesso anche nei testi prodotti dai nostri studenti e soprattutto quando chiedo di parlare del futuro. Assenza di universale che può significare assenza di Dio, assenza di un valore superiore da ricercare (giustizia, legalità, uguaglianza…), assenza di una progettualità: tutte le canzoni che mi sono state proposte, incluse quelle pop seppur maggiormente incentrate sul tema amoroso, risultano dalla giustapposizione di singole esperienze che non riescono a raggiungere un livello universale, valido per tutti, esemplare, tipico. Si tratta di esperienze molto individuali, percepite e giudicate come irripetibili e che perciò, e solo perciò, necessitano di essere comunicate. Come se ci fosse un insopprimibile desiderio di gesta eclatanti da flexare, da “sbattere in faccia” agli altri. A proposito di flexare si potrebbe aprire un’ampia parentesi anche sugli youtuber che seguono buona parte dei nostri studenti. Oltre a quelli che si occupano di videogame, infatti, riscuotono un certo successo personaggi legati in qualche modo alla moda e alla sua esibizione come «Manny Fresh», «Diario Del Russo» o «Barengo». Un discreto numero dei nostri ragazzi, grazie a questi canali di Youtube (ma ovviamente anche alle altre piattaforme), è particolarmente affezionato a stili di vita per lo più eccentrici che ergono a proprio totem capi di abbigliamento molto costosi, di lusso, che arrivano a costare centinaia di Euro. Ovviamente non si vuole esprimere un giudizio morale sulla questione ma semplicemente far conoscere anche questa sottocultura condivisa da alcuni nostri ragazzi e che dovremmo approfondire. Anche perché, secondo alcuni studenti, si tratterebbe sostanzialmente di collezionismo.
Ritornando alle canzoni suggeritemi dagli studenti, in generale il modello proposto è quello di un individuo in fondo solo, chiuso in se stesso e che trova conforto nella gang, un gruppo di amici con il quale condivide le stesse passioni e le stesse sofferenze, gli stessi sogni (anche questi poco universali, spesso legati a un puro desiderio di realizzazione personale, di fama, di successo, di ricchezza, di potere), le stesse delusioni, gli stessi disagi. È l’individuo dal «profilo basso» (Salmo), poco propenso a cogliere i problemi del mondo come problemi anche personali, poco interessato alla realtà sociale, economica, politica e a quanto esiste oltre il suo quartiere o la sua città. L’iper-individuo non è schierato politicamente, è in generale neutrale e disinteressato ad assumere posizioni che non gli diano un vantaggio.
In alternativa alla musica, i nostri ragazzi amano rilassarsi – secondo quanto espresso nei loro elaborati – anche con i videogiochi. A inizio anno, in particolare, andava di moda Fortnite. Più di recente si è molto diffuso Brawl Stars. Senza entrare nei dettagli dei giochi, per altro molto diversi e per vari motivi, quello che li accomuna è invece, a mio modo di vedere, l’assenza in entrambi i casi di una narrazione: il gioco, come la comicità, come in fondo molte canzoni, è ripetitivo, inizia e finisce, poi si riinizia e così via. L’assenza di una dimensione narrativa, che per altro coinvolge anche giochi più classici (si pensi, ad eccezione di alcune modalità di gioco, ai tradizionali giochi sportivi), provoca probabilmente la difficoltà nei ragazzi di percepirsi come il frutto di un percorso: la possibilità di iniziare e riiniziare genererà verosimilmente una visione di mondo più ciclica e meno rettilinea in cui non c’è evoluzione, tutto è sempre uguale e l’obiettivo è identico a quello della partita precedente.
Ma del resto, terminata questa carrellata breve e sintetica di appunti, bisogna ammettere che in modi diversi, anche noi docenti, come noi ragazzi, condividiamo parte di quanto è stato messo in luce finora. Viviamo tutti lo stesso mondo e dallo stesso mondo siamo condizionati. Evito di entrare nei dettagli, lascio ai ragazzi che leggono il piacere di scoprire da soli il mondo “al di qua della cattedra” e magari rispondere a questo breve articolo con uno più approfondito. A testimonianza di come anche il mondo di un cinquantenne sia “superficiale” e a chiusura di questo breve steso cui i due versi seguenti ben si possono riferire è il caso di chiamare in causa Guido Mazzoni, poeta contemporaneo letto e molto apprezzato in tutte le classi in cui ho lavorato, allorché in clausola della sua Uscire scrive:
«Ho scritto un testo che non tende a nulla. Vuole solo esserci, come tutti.
Ho scritto un testo che rimane in superficie.»
In un breve articolo di un giornalino scolastico si può dire spesso molto poco. Perciò ho deciso di raccogliere, in maniera sincera e francamente poco scientifica una serie di “sensazioni”, una serie di appunti, di spunti di riflessione che hanno come unico pregio quelli di essere prodotti da un insegnante ventiquattrenne che, per il punto di vista privilegiato, può dire ‘noi’ sia a proposito dei ragazzi che degli insegnanti.
E allora, veniamo al dunque. La domanda che mi sono posto sin dalle prime ore in cui ho iniziato la mia esperienza lavorativa e che ha condotto la mia ricerca nelle mie classi e durante le numerose ore di supplenza è stata: come sono i cosiddetti “ragazzi di oggi”? E quindi, in fondo (ma non per egocentrismo, più per curiosità), come sono io? O anche, e più semplicemente, cosa sappiamo (o non) noi docenti dei nostri studenti?
I luoghi comuni, come sempre nei periodi storici di crisi e ancor di più in quelli decadenti come questo, trionfano. Si sostiene ingenerosamente che i ragazzi non siano interessati a nulla, che siano legati morbosamente allo smartphone, che non abbiano valori, che siano narcisisti e particolarmente ossessionati dall’aspetto fisico, ecc. Non mi interessa in questa sede contraddire questi e altri stereotipi. Quello che mi preme è fornire una serie di “dati” utili all’apertura di un dibattito tra studenti e docenti e in generale tra ragazzi e adulti nella nostra scuola. Come “fonti”, mi sono avvalso di dialoghi, riflessioni a partire dalla lettura di testi poetici o di canzoni che comunemente i nostri ragazzi ascoltano e di elaborati frutto di scritture creative.
Un primo dato che è emerso è il bisogno di relazioni significative. In diversi scritti dei nostri studenti si possono leggere esplicite richieste di attenzioni se non anche di “sentirsi amati”. L’età dell’adolescenza favorisce, d’altra parte, una serie di atteggiamenti “negativi” e risultano più visibili la contestazione, la disapprovazione, la messa in discussione delle istituzioni tra cui quella scolastica. Eppure, al di là di esplicite dichiarazioni di menefreghismo o affermazioni auto-sabotanti del tipo “eh ma in italiano non so scrivere bene” o “non mi viene in mente niente”, i nostri studenti avvertono come indispensabile l’approvazione dei docenti da cui in un modo o in un altro attendono legittimazione per le loro piccole imprese. ‘Legittimazione’ che non equivale solo a ‘votazione’, né a ‘rinforzo positivo’ di qualsiasi genere: significa anche, in generale, ‘essere considerati’. Gli studenti, sia per la conflittualità tipica dell’età, sia perché scagliati senza griglie interpretative consolidate in una società in continua evoluzione, hanno bisogno di relazioni anche dal punto di vista motivazionale. Spesso, infatti, mi capita di chiedere, in ossequio alla massima «ask the boy» del pedagogo R. Baden Powell, cosa i ragazzi desiderino per loro e per quale motivo dovrebbero studiare le mie materie (Lingua e letteratura italiana e Storia). La reazione più frequente alle mie provocazioni è quella di rispondere con la domanda “ma a cosa serve l’italiano/la storia?”. La polemica, che talvolta pone come eccezione le materie “d’indirizzo”, è la dimostrazione del fatto che la grande maggioranza dei ragazzi non accetta passivamente quello che viene proposto e d’altra parte non riesce a trovare da sé una motivazione valida ad alcuni fatti, episodi, problemi con cui si imbatte nella vita quotidiana. Il silenzio, lo svilimento della materia poco comprensibile fino ad annullarne ogni istanza di validità, il rifiuto frequente a produrre elaborati di scrittura creativa, sono il tacito grido estremo di un’individualità che pretende considerazione e continua ri-motivazione. Certo, in una classe non è sempre facile dare le giuste attenzioni a ognuno e quel che è peggio è che a volte noi insegnanti non siamo in grado di comprendere, di capire il loro modo di comunicare le loro emozioni che per certi versi è diverso dal nostro.
Riassumendo: gli studenti hanno bisogno di affetto e amore anche dagli adulti, inclusi gli insegnanti; hanno bisogno di riconoscimento della propria individualità e di essere maggiormente motivati (richieste che ritornano in più occasioni negli elaborati); hanno bisogno di essere capiti, compresi. A proposito di quest’ultimo tema, è il caso di aggiungere che il cambiamento dei modi di comunicazione è dovuto anche in parte a un cambiamento dei modelli culturali di riferimento. Mi rendo conto che il mondo dei nostri studenti (ma anche il nostro seppur in misura diversa e in modi più “classici”) è in fondo molto irrazionale: basti pensare alla comicità cui si ispirano, fatta di “caricature” di esseri deformi e non di “tipi sociali” (si pensi ad esempio, secondo quanto riferitomi, a I soliti idioti o a video meno strutturati definiti da loro “video trash”); o, cosa ancora più pervasiva, alla musica che ascoltano; o ancora ai videogiochi in voga.
Per quanto riguarda la comicità, da un breve esame condotto insieme agli stessi studenti che comunque dimostrano una certa consapevolezza di quella che è – secondo gli stereotipi – la loro “superficialità”, si può individuare un certo gusto per leitmotiv ripetitivi e insensati. Mi permetto di dire che siano privi di senso per il fatto che, come «comunità interpretante» (R. Luperini e altri) non siamo riusciti a dargli un significato univoco. E del resto, quello che percepiscono i ragazzi come ‘comico’ è quello che altri (me incluso) preferirebbero etichettare come ‘assurdo’. Ad esempio, in una classe è stata avvertita come particolarmente comica la frase «ho picchiato il dottore col casco». La canzone che riporta la proposizione è per altro parecchio apprezzata dal momento che in più classi, alla mia richiesta di un testo di una canzone a loro scelta per produrre un’analisi testuale, è stata suggerita come campione per le nostre indagini. E veniamo, così, al secondo punto relativo alla musica che ascoltano i nostri studenti. Come prevedibile il genere trap risulta essere quello più popolare, seguito dal rap e dal pop. Ma quello che emerge quando si tenta di fare un’analisi testuale è che questi testi – e di riflesso, con le dovute cautele, i nostri studenti – al di là di tematiche tipicamente giovanili (da sempre! Si pensi a Bob Dylan, ora osannato e anche vincitore di uno dei più discussi premi Nobel alla letteratura) quali la droga, il rifiuto delle istituzioni, il sesso, mettono in luce la drammatica – secondo la mia visione – assenza di un desiderio di universale. Il fatto viene evidenziato spesso anche nei testi prodotti dai nostri studenti e soprattutto quando chiedo di parlare del futuro. Assenza di universale che può significare assenza di Dio, assenza di un valore superiore da ricercare (giustizia, legalità, uguaglianza…), assenza di una progettualità: tutte le canzoni che mi sono state proposte, incluse quelle pop seppur maggiormente incentrate sul tema amoroso, risultano dalla giustapposizione di singole esperienze che non riescono a raggiungere un livello universale, valido per tutti, esemplare, tipico. Si tratta di esperienze molto individuali, percepite e giudicate come irripetibili e che perciò, e solo perciò, necessitano di essere comunicate. Come se ci fosse un insopprimibile desiderio di gesta eclatanti da flexare, da “sbattere in faccia” agli altri. A proposito di flexare si potrebbe aprire un’ampia parentesi anche sugli youtuber che seguono buona parte dei nostri studenti. Oltre a quelli che si occupano di videogame, infatti, riscuotono un certo successo personaggi legati in qualche modo alla moda e alla sua esibizione come «Manny Fresh», «Diario Del Russo» o «Barengo». Un discreto numero dei nostri ragazzi, grazie a questi canali di Youtube (ma ovviamente anche alle altre piattaforme), è particolarmente affezionato a stili di vita per lo più eccentrici che ergono a proprio totem capi di abbigliamento molto costosi, di lusso, che arrivano a costare centinaia di Euro. Ovviamente non si vuole esprimere un giudizio morale sulla questione ma semplicemente far conoscere anche questa sottocultura condivisa da alcuni nostri ragazzi e che dovremmo approfondire. Anche perché, secondo alcuni studenti, si tratterebbe sostanzialmente di collezionismo.
Ritornando alle canzoni suggeritemi dagli studenti, in generale il modello proposto è quello di un individuo in fondo solo, chiuso in se stesso e che trova conforto nella gang, un gruppo di amici con il quale condivide le stesse passioni e le stesse sofferenze, gli stessi sogni (anche questi poco universali, spesso legati a un puro desiderio di realizzazione personale, di fama, di successo, di ricchezza, di potere), le stesse delusioni, gli stessi disagi. È l’individuo dal «profilo basso» (Salmo), poco propenso a cogliere i problemi del mondo come problemi anche personali, poco interessato alla realtà sociale, economica, politica e a quanto esiste oltre il suo quartiere o la sua città. L’iper-individuo non è schierato politicamente, è in generale neutrale e disinteressato ad assumere posizioni che non gli diano un vantaggio.
In alternativa alla musica, i nostri ragazzi amano rilassarsi – secondo quanto espresso nei loro elaborati – anche con i videogiochi. A inizio anno, in particolare, andava di moda Fortnite. Più di recente si è molto diffuso Brawl Stars. Senza entrare nei dettagli dei giochi, per altro molto diversi e per vari motivi, quello che li accomuna è invece, a mio modo di vedere, l’assenza in entrambi i casi di una narrazione: il gioco, come la comicità, come in fondo molte canzoni, è ripetitivo, inizia e finisce, poi si riinizia e così via. L’assenza di una dimensione narrativa, che per altro coinvolge anche giochi più classici (si pensi, ad eccezione di alcune modalità di gioco, ai tradizionali giochi sportivi), provoca probabilmente la difficoltà nei ragazzi di percepirsi come il frutto di un percorso: la possibilità di iniziare e riiniziare genererà verosimilmente una visione di mondo più ciclica e meno rettilinea in cui non c’è evoluzione, tutto è sempre uguale e l’obiettivo è identico a quello della partita precedente.
Ma del resto, terminata questa carrellata breve e sintetica di appunti, bisogna ammettere che in modi diversi, anche noi docenti, come noi ragazzi, condividiamo parte di quanto è stato messo in luce finora. Viviamo tutti lo stesso mondo e dallo stesso mondo siamo condizionati. Evito di entrare nei dettagli, lascio ai ragazzi che leggono il piacere di scoprire da soli il mondo “al di qua della cattedra” e magari rispondere a questo breve articolo con uno più approfondito. A testimonianza di come anche il mondo di un cinquantenne sia “superficiale” e a chiusura di questo breve steso cui i due versi seguenti ben si possono riferire è il caso di chiamare in causa Guido Mazzoni, poeta contemporaneo letto e molto apprezzato in tutte le classi in cui ho lavorato, allorché in clausola della sua Uscire scrive:
«Ho scritto un testo che non tende a nulla. Vuole solo esserci, come tutti.
Ho scritto un testo che rimane in superficie.»